ROSSELLA PEZZINO DE GERONIMO
di Vincenzo Sanfo
Nell’ormai lontano 1973 ebbi la ventura di vedere una memorabile mostra dal suggestivo titolo Combattimento per una immagine.
Mostra dedicata al rapporto tra pittura e fotografia curata, dal purtroppo dimenticato, Luigi Carluccio critico di origine pugliese ma torinese di adozione e da una giovanissima Daniela Palazzoli antesignana tra le studiose della fotografia in Italia. Questa mostra, di cui rimane un bel catalogo edito dalla Galleria d’arte Moderna di Torino, fu allora beneficiata dall’attenzione di Marella Agnelli appassionata di fotografia ed anch’essa eccellente fotografa.
Con Donna Marella, persona di una gentilezza e bontà inusuali, ebbi poi la fortuna di collaborare nella realizzazione di alcuni libri di fotografie da lei realizzate e in buona parte dedicate ai tanto amati giardini.
Ma sopratutto collaborai con Donna Marella e l’Associazione Amici Torinesi dell’Arte, da lei presieduta, ad una straordinaria serie di mostre fotografiche dal titolo “La fotografia vista da” che partivano dal suggerimento offerto, di volta in volta, da grandi personaggi della cultura che esprimevano un concetto che sarebbe poi divenuto il filo conduttore della mostra. Tra essi ricordo il siciliano Leonardo Sciascia con “Ignoto a me stesso “, Alberto Arbasino, con “I viaggi perduti” e poi Josif Brodskj, Furio Colombo e Gae Aulenti, solo per citarne alcuni tra quelli che ne dettarono le idee e con cui ebbi la buona sorte di collaborare. Nel cammino, che mi pregiai di fare nel mondo della fotografia, non posso non pensare all’emozionante mostra delle fotografie giovanili del grande Stanley Kubrick, genio assoluto, e che, complici Enrico Ghezzi e l’intelligentissima Elisabetta Sgarbi ebbi la fortuna di pubblicare ed esporre.
Tutto questo, per far capire come il mio percorso nella fotografia, sino ad un certo punto, sia stato casuale, anzi mi verrebbe da dire sospinto dalle circostanze in cui ebbi la ventura di trovarmi e che mi permisero di conoscere, e in alcuni casi frequentare, grandi maestri della fotografia quali ad esempio Henry Cartier-Bresson, Steven Meisel, Frank Horvat , Ferdinando Scianna, Irish Broch e Nigel Dickinson. Fu così che, quasi senza accorgermene, mi avvicinai al mondo della fotografia divenendone appassionato fruitore, vedendo in essa un mezzo di espressione nel quale, al pari della pittura, del disegno e della scultura, mi venne di scoprire una sua autonomia creativa.
Tesi che era, per altro, nelle intenzioni della sopracitata mostra Combattimento per un’immagine e che serviva a rivendicare alla fotografia una precisa ragion d’essere ed un percorso, e un valore, non solo documentaristico ma inevitabilmente anche artistico quindi “alto”. Ormai da decenni questo è acclarato, la fotografia non è più asservita a… ma bensì padrona di se stessa, indipendentemente ribelle a costrizioni e lacci che ne definiscano i perimetri.
Essa ha elaborato una sua specifica Koinè da cui è dipartita in un viaggio il cui esito è indefinibile e ricco di inusitate possibilità. In effetti, sdoganata com’è dalla sua funzione meramente riproduttiva e al servizio di momenti specifici, memoriali, rimane scevra da costrizioni e quindi può dispiegare tutta la sua infinita ricchezza espressiva e di cui, ad oggi, non ci è dato di vedere una fine, semmai di essere partecipi di una sua continua rinascita. Questo anche in virtù delle nuove possibilità tecniche che, da essa ne derivano sia avverso al progresso tecnologico, sia in virtù della sua indipendenza creativa che, ancorché guidata dall’occhio umano, e dalla tecnologia, mantiene sempre una sua altezzosa capacità di autonomia, non sapendosi mai bene, a priori, quale sarà il risultato finale.
Come diceva la grande Diane Arbus: “non ho mai ottenuto uno scatto come volevo, é sempre venuto migliore o peggiore” In questo, proprio in questo, sta la magia ineluttabile del gesto fotografico. La fascinazione di quel misterioso, e a volte perverso, gioco delle parti che rapisce chi si avvicina alla macchina fotografica che diventa tramite di piccoli e sottili piaceri emozionali in cui l’immagine finale è una sorta di catarsi, legata ad un momento che, si sa, rimarrà fisso nel tempo. Oggi, mi trovo di fronte alle ultime opere fotografiche di Rossella Pezzino de Geronimo, opere non usuali che si intuiscono essere il frutto di una lunga gestazione, non facile, tormentata, e intimamente perseguita con una dedizione totale e, senza dubbio, frutto di una lotta interiore che traspare dalle sue immagini, mai semplicemente decorative o accattivanti. Come si può parlare del percorso di Rossella nella fotografia senza prescindere da alcuni aspetti di cui ho accennato poc’anzi. In primis il rapporto tra pittura e fotografia che era alla base della citata mostra “Combattimento per una immagine”.
In secondo luogo il gioco emozionale che l’artista ingaggia con il tramite tecnologico, che le consente di arrivare a risultati a volte talmente sorprendenti e coinvolgenti da emozionare chi osserva le sue immagini anche in maniera sottilmente erotica. Il suo rapporto con la pittura è reso evidente dalle sue inquadrature, dalla scelta dei luoghi e dei colori nonché nella slanciata composizione delle sue fotografie. Immagini che ci raccontano delle sue passioni, sia letterarie che artistiche, e in cui l’eco di filosofie antiche, insite in quella sicilianità che è un tutt’uno con il suo essere, la fa rivolgere sempre più verso oriente a vantaggio di una visione meditativa e ispirata della vita. Infatti, in particolare nella sua recente ricerca fotografica, legata ai quattro elementi Terra Aria, Fuoco e Acqua, denuncia apertamente questa sua visione trascendente della vita, dichiarando ispirata da Assimene, l’assoluta incompatibilità del nostro vivere moderno rispetto alle leggi naturali del creato.
Non si può quindi parlare della sua ricerca fotografica senza tenere presente questo enunciato che è parte viva, essenziale, direi magmaticamente essenziale, di tutta la sua opera fotografica e non solo di queste ultime e splendide immagini. Infatti, già nelle sue precedenti ricerche, attese sul corpo umano, vi era in nuce questa sua visione che traspariva dal voluto abbandono del ritratto, esaltando invece l’emergere di un dettaglio, un particolare anche minimo ma in grado di raccontare il non visibile. In questo modo, trasmettendo il senso emozionale di una visione lontana dall’essere, muta immagine, ma in grado di offrire un senso, una riflessione, su ciò che si vede e inconsciamente, si percepisce.
Un’altra caratteristica non trascurabile dell’approccio di Rossella alla fotografia è quella di presentarsi senza barriere protettive, aprendosi al mondo in una continua rinascita e mettendo a nudo tutta la sua interiorità, le sue fragilità, le sue angosce, i suoi pensieri. Il tutto, in una forma quasi psicanalitica di avanzamento, incontro a sè stessa, nella ricerca di una leggerezza interiore, quasi una forma di jouissance di lacaniana memoria, in grado di dare un senso alla vita e di renderla quindi degna di essere vissuta. Il suo essere altro, al di là della fotografia, non fa che rafforzare questo senso di leggerezza, di indifesa partecipazione al grande mistero della creazione che essa esprime attraverso la fotografia, la quale diventa una sorta di grido muto nei confronti di un mondo sempre più disumanizzato. Questo, si evince nella essenzialità dei suoi paesaggi, desolati e desolanti, i quali trasmettono quel senso di inquieta sottile malinconia che percorre il nostro travagliato tempo.
Nelle sue immagini vi è, in lontananza, l’eco di quella solitudine, di quella incomunicabilità che fu per Michelangelo Antonioni il marchio di fabbrica e che per lei è un sentimento dell’anima, che si percepisce rimanere in sottofondo come una silenziosa compagnia.
Tutto questo è evidente nelle sue fotografie che, in alcuni casi, ricordano l’antoniano Zabriskie Point nei colori freddi, nelle tonalità basse, nei tagli rarefatti e astratti delle sue immagini che riportano alla mente, oltre all’opera del grande regista, i dipinti di Mark Rothko che, essenziali quanto un film di Antonioni, sono sottilmente inquieti nella loro assoluta mancanza di un qualsiasi riferimento figurativo e quindi, di per sè, incomunicabili. In grado però di creare emozioni diversamente non percorribili.
Anche per Rossella, come per Antonioni e Rothko, il viaggio recentemente intrapreso trova, in questo versante astrattamente evocativo, il viatico verso una crescita artistica ed emozionale pregna di splendide incognite che, se saprà disciplinarle, la porteranno verso un futuro di grande rilevanza.
Il suo Combattimento infatti non è più quello per un’immagine, lotta ormai ampiamente superata, ma bensì quello per una ricerca di assolutezza, di una spirituale essenza filosofica da esteriorizzare attraverso l’uso della fotografia, quale medium, per comunicare sensazioni, pensieri, emozioni che, altrimenti, resterebbero confinati in una dimensione intimistica ed esclusivamente personale.
Con la fotografia l’artista ha trovato il modo di donarsi, di rendersi partecipe di quella dimensione, propria di tutti gli artisti, che è quella di offrire se stessi attraverso il proprio lavoro, perché, come ebbe a dire il grande fotografo Anselm Adams: “tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato” .
Ecco nelle fotografie di Rossella vi è tutto questo, il senso profondo e umanamente aperto di una generosità di pensiero che è il timbro dei grandi maestri che sono in grado di riempire l’occhio e la mente di chi guarda e di farli sentire liberi di vibrare nelle sensazioni di immagini che sono, e resteranno, nella memoria.